Homepage ATTUALITÀ Ruolo dei ricercatori dell’Università di Padova nella mitigazione dei detriti spaziali

    Ruolo dei ricercatori dell’Università di Padova nella mitigazione dei detriti spaziali

    5:49 am
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    PADOVA – Come messo in luce in modo drammatico dal test anti-satellite condotto recentemente dai Russi che ha portato alla frammentazione di un loro satellite defunto, il Kosmos-1408, in circa 1500 pezzi tracciabili (ovvero con dimensione superiore ai 10 centimetri) e di molte altre migliaia di pezzi più piccoli non tracciabili, il problema dell’aumento dei detriti orbitali sta diventando critico per la sostenibilità a lungo termine dell’ambiante spaziale circumterrestre. La distruzione del Kosmos-1408 ha forzato gli astronauti (fra cui due Russi) della Stazione Spaziale Internazionale a rifugiarsi temporaneamente in un modulo di rientro, agganciato alla stazione come “scialuppa di salvataggio” in attesa che venisse accertato il pericolo presentato dai detriti generati dall’ evento.

    Vi sono attualmente in orbita intorno alla terra circa 35000 detriti con dimensione superiore ai 10 centimetri di cui circa 28000 sono “catalogati” e tracciati giornalmente da terra dallo US Space Control (ex NORAD). Di questi meno di 3500 sono satelliti funzionanti mentre i rimanenti sono satelliti defunti, vecchi stadi alti di missili e pezzi vari che il missile lascia in orbita prima di “consegnare” un satellite o più satelliti nell’orbita desiderata. Si stima inoltre che vi sia un milione di detriti con dimensioni fra 1 cm e 10 cm, non tracciabili. Ognuno di questi detriti, anche se di pochi centimetri, ha energia cinetica sufficiente per mettere fuori uso a causa di un impatto un satellite e quindi deteriorare funzioni essenziali per l’umanità come le telecomunicazioni, l’osservazione della terra, la navigazione, le previsioni del tempo, ecc.

    Secondo i modelli analizzati, è essenziale rimuovere o evitare di lasciare a lungo in orbita i detriti grossi perché questi sono quelli che creano un maggiore numero di frammenti dopo un impatto in orbita. La rimozione dei detriti già presenti in orbita è una cosa molto complicata, che richiede un grande dispendio di propellente per spostare un possibile “rimorchiatore spaziale” da un detrito ad un altro su orbite diverse.

    Una soluzione più immediata, per altro richiesta nelle “Linee guida” dalle Nazioni Unite, accettate dalle maggiori agenzie spaziali è quella di non lasciare i satelliti o anche gli stadi alti dei missili in orbita per un tempo più lungo di 25 anni. Il problema è che deorbitare un satellite o uno stadio usando Rappresentazione grafica dei detriti orbitali nella regione delle orbite basse 2 la presente tecnologia richiede il consumo di una quantità notevole di propellente chimico ed il propellente ha un valore enorme per la durata operativa del satellite e/o la capacità di lancio del missile (…non ci sono stazioni di rifornimento in orbita!)

    Ad oggi non vi sono leggi internazionali per forzare gli operatori dei satelliti o dei lanciatori a far deorbitare i loro oggetti, si tratta infatti solo di “linee guida” che nella gran parte dei casi vengono disattese perché considerate troppo onerose. Una soluzione è quella di creare dei sistemi ausiliari di deorbitazione che non consumino propellente o che ne consumino molto poco ed in grado di deorbitare il satellite o lo stadio in un periodo relativamente breve in modo da ridurre drasticamente il rischio d’impatto con altri oggetti orbitanti. L’Università di Padova ha avuto un ruolo storico nello sviluppo dei sistemi satellitari a filo tramite il compianto prof. Giuseppe Colombo che insieme al suo collega dott. Mario Grossi dello Smithsonian Astrophysical Obsevatory di Cambridge (Massachusetts, USA) avevano proposto negli anni 70 vari utilizzi dei sistemi a filo fra cui quelli della propulsione elettrodinamica che per l’appunto non necessita di propellente chimico per produrre la spinta necessaria per modificare l’altezza orbitale. La tecnologia dei fili elettrodinamici era stata per la prima volta dimostrata in orbita negli anni 90 con le missioni TSS-1 e TSS-1R della NASA insieme all’ l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), ma queste missioni spaziali avevano esclusivi scopi scientifici e non quello del deorbiting. Le missioni TSS-1 e TSS-1R usavano fili elettrodinamici lunghi 20 km che sarebbero difficilmente attrattivi per gli operatori spaziali. Da allora vi sono state importanti migliorie tecnologiche che hanno portato all’introduzione dei nastri elettrodinamici non-isolati e ai catodi di nuova generazione che hanno notevolmente ridotto le dimensioni e la lunghezza di questi sistemi. L’Università di Padova ha svolto un ruolo importante in questa crescita tecnologica partecipando a due progetti finanziati dalla Commissione Europea: il progetto BETs del programma FP7 (https://cordis.europa.eu/project/id/262972/news/it) e ora il progetto E.T.PACK del programma H2020 FET-OPEN (Future & Emerging Technologies). Il progetto E.T.PACK (https://etpack.eu/) coordinato dall’ Universidad Carlos III de Madrid, ha come partner l’Università di Padova, la Technical University of Dresden, il tedesco Fraunhöfer Institute – IKTS e le ditte spagnole SENER Aeroespacial e Advanced Thermal Devices.

    «Il progetto riguarda lo sviluppo e costruzione di un prototipo avanzato di dimensioni di 12 Unità (12U Cubesat) con dimensioni 22cm x 22cm x 34cm e del programma di test a terra per verificarne la futura funzionalità in orbita – spiega il prof Enrico Lorenzini del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova e coordinatore del gruppo di ricerca padovano -. Il ruolo del gruppo di ricerca dell’Ateneo Padovano e in particolare del CISAS-UniPD è prioritario nel progetto in quanto i nostri ricercatori sono responsabili di una delle parti più delicate del Cubesat, Il deployer di E.T.PACK nel laboratorio SPARTANS del Dipartimento di Ingegneria Industriale – UniPD soggetto a test funzionali 3 ovvero il “deployer” (lo svolgitore) che dovrà dispiegare in orbita i 500 metri del sottile nastro conduttore seguendo un preciso profilo di velocità e senza danneggiare il delicato nastro».

    Recentemente il gruppo di ricerca a cui hanno contribuito in modo essenziale Andrea Valmorbida, Giulia Sarego, Alice Brunello, Lorenzo Olivieri, Giacomo Colombatti ed i proff. Carlo Bettanini e Marco Pertile hanno effettuato con successo i test funzionali di svolgimento del nastro conduttore e presentato i risultati il 10 dicembre alla Commissione Europea ricevendo un giudizio molto positivo dagli esperti per i risultati ottenuti (il progetto E.T.PACK figura al primo posto nei “Featured Projects” mostrati nel sito web dello European Innovation Council https://eic.ec.europa.eu/index_en).

    L’ulteriore programma di sviluppo prevede, tramite nuovi finanziamenti per i quali il team ha già presentato una proposta al programma Horizon Europe, un volo dimostrativo del sistema di deorbiting (In-Orbit Demonstration) nel 2025. Dopo le necessarie modifiche da apportare all’attuale prototipo per portarlo alla qualifica finale per il volo orbitale, il team di E.T.PACK è ansioso di vedere dimostrate in orbita le prestazioni di questo sistema molto innovativo in cui le basi sono state poste dalle idee pionieristiche di Mario Grossi e Giuseppe Colombo.