Homepage LE NOVE ARTI Testaccio il primo quartiere industriale di Roma Capitale

    Testaccio il primo quartiere industriale di Roma Capitale

    10:42 am
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    Il nome Testaccio deriva dalla piccola collina artificiale chiamata “Monte Testaccio” ovvero la prima e più antica discarica di Roma che contiene i cocci ovvero le “testae” da qui il nome Testaccio, di oltre 50 milioni di anfore scaricate per centinaia e centinaia di anni trasportate via fiume dal porto di Ostia al gigantesco emporio commerciale che sorgeva appunto sulle sponde del Tevere in corrispondenza dell’attuale Ponte Sublicio.

    Le anfore erano i contenitori a perdere dell’antichità e dato che contenevano vino e olio difficilmente erano riutilizzabili, per questo motivo venivano distrutte dopo il trasporto e ammassate in maniera ordinata su quello che diventerà poi il Monte Testaccio. Questa collinetta alta 36 metri, durante la Seconda Guerra Mondiale ospiterà alcune batterie antiaeree di cui si possono trovare traccia in quattro basamenti di cemento tutt’ora esistenti.

    La razionalità con cui vennero disposti questi cocci dai Romani per ottimizzare lo spazio sarà il motivo per cui nei secoli recenti il Monte sarà riutilizzato scavando delle grotte nei cocci, come deposito di vino, olio e grano poiché un flusso costante di aria circola all’interno di questa specie di alveare di cocci a temperatura bassa e costante anche durante l’estate.

    Testaccio dopo la caduta dell’impero romano perse la sua importanza come terminale delle merci, durante il medioevo e nei secoli fino al Rinascimento fu utilizzato come terreno agricolo a Vigneto ed Orti ed anche come meta di scampagnate.

    Rione del Testaccio

    Rimase tuttavia la vocazione commerciale e portuale della zona anche nel Medioevo al punto che nell’850 dopo Cristo, Papa Leone IV fece costruire due torri ai due lati del fiume (all’altezza dell’attuale ponte Sublicio) tra le quali veniva tirata una catena ogni notte per impedire alle navi saracene di entrare in città attraverso il fiume. Ma il Tevere non era solo l’autostrada delle merci serviva anche a fornire energia ai numerosi mulini galleggianti di cui possiamo trovare traccia sulla banchina dell’ex porto di Ripa Grande ove sono collocate grandi macine di pietra recuperate dal fondo del fiume.

    Dobbiamo però arrivare al 1693 per una sistemazione razionale del Porto Fluviale di Ripa Grande sotto il papato di Innocenzo XII con la costruzione degli Uffici della Dogana che modificandosi nel tempo diventeranno ospizio per le donne abbandonate e poi carceri minorili maschili e femminili.

    L’ex dogana pontificia ora sede del MIBAC

    Dopo l’Unità d’Italia quando Roma divenne la capitale della nazione si definì il piano di sviluppo della città in senso più moderno e quindi lo spostamento delle attività più rumorose inquinanti e generatrici di cattivi odori dal centro della città verso il Testaccio che era una zona pianeggiante e lontana. A Testaccio fu deciso il trasferimento del Mattatoio che prima si trovava nei pressi di Porta del Popolo, la presenza del fiume ancora una volta si rivelò fondamentale per l’eliminazione degli scarti di lavorazione,  per i lavaggi delle vasche per la concia delle pelli suine e in definitiva per un fondamentale motivo igienico.

    La progettazione della struttura fu affidata a Gioacchino Ersoch che realizzò nel 1883 una struttura di grande modernità e grande razionalità al punto che essa fu utilizzata fino al 1975 anno in cui il Mattatoio fu sostituito da una nuova struttura nel quartiere Prenestino. La presenza del Mattatoio richiamò anche un indotto notevole, c’erano concerie, sellerie, maniscalchi, fonderie, tipografie, sacchifici, scatolifici vetrerie ect  di tutte queste attività rimane traccia nei toponimi delle strade come ad esempio via delle Conce o via del Campo Boario. Al mattatoio seguiranno altre attività industriali localizzate in quel territorio come l’impianto del gas detto Gazometro, le centrali elettriche come la Montemartini, i Mercati Generali, i Magazzini del Grano, i Molini Industriali e tantissimi impianti di medie e grandi dimensioni. Decine di migliaia di lavoratori con le loro famiglie dovevano essere alloggiati  nei pressi di questi impianti e quindi si procedette ad una urbanizzazione a blocchi intensivi di abitazione sui terreni acquistati dall’Istituto Case Popolari e dall’Istituto dei Beni Stabili. Tuttavia l’intensità abitativa delle prime urbanizzazioni crearono gravi problemi sociali ed igienici mancando un’adeguata aerazione e illuminazione dei minuscoli appartamenti dotati della sola latrina ed una specie di lavabo cucina.

    Questo tipo di palazzi intensivi a blocco chiuso saranno costruiti fino al 1905 prepara negli anni successivi dal 1909 al 1917 umidificazione più razionale umana con edifici a blocco aperto progettati degli architetti Giulio Magni e Quadrio Pirani. Tuttavia le condizioni sociali della popolazione e delle famiglie operaie del Testaccio continueranno ad essere disagiate sviluppando fenomeni di prostituzione, delinquenza, gioco d’azzardo che lo stesso fondatore dell’Istituto dei beni stabili Eduardo Talamo, sensibile alle istanze sociali di questa popolazione, decise la costruzione all’interno dei palazzi di scuole di impostazione montessoriana addirittura gratuite. I bambini potevano quindi scendere direttamente dalle loro abitazioni nella scuola senza bisogno di accompagno e di massima sicurezza. Esempio perfettamente conservato di queste scuole è la Casa dei Bambini a Via Vespucci dove abitò Elsa Morante e dove sono collocate 5 pietre d’inciampo in ricordo degli ebrei deportati e uccisi alle Fosse Ardeatine e ad Auschwitz.

    Le 5 pietre d’inciampo in via Vespucci in ricordo dei martiri ebrei

    Oggi Testaccio è un quartiere della movida romana ma, nonostante questo, ha conservato ancora una sua profonda identità popolare, una umanità e coesione sociale che si avverte camminando nelle strade, nelle parole e nei volti degli abitanti.

    Tutte le foto sono dell’autore

    Luciano Alberghini Maltoni